Ricordo che da bambina i miei pomeriggi finivano sempre con
il tg3 delle sette: io e mamma in cucina, le mie sorelle maggiori ancora a
studiare, babbo spesso a lavoro. Dopo i compiti facevo merenda e, soprattutto
d’inverno, quando non ero appiccicata al caminetto, stavo in cucina a giocare e
magari a vedere un cartone animato nell’unico televisore di casa. Alle sette
mamma iniziava a preparare la cena, ovvero metteva sul fuoco la salsa per la
pasta, e accendeva il tg. Lo leggeva Maurizio Mannoni, che alla metà degli anni Ottanta combatteva con
Terence di Candy Candy e Andrè di Lady Oscar per avere un posto d’onore come
uomo ideale nel mio cuore di futura donnina, posto che peraltro conserva
ancora, sempre però alle spalle dell’unico, irraggiungibile, Capitan Harlock.
Il tg visto con gli occhi di un bambina di sei o sette anni è quel che è, a volte noioso, fatto più che di notizie, che non si capiscono appieno, di volti, di persone, di impressioni, di parole che evocavano pensieri e storie che la fantasia rende perfetti e reali. Per me il tg era ritualità di termini e processione di uomini. La parola chiave era “crisi di governo”, seguita da “crisi petrolifera”, “crisi della metalmeccanica”, “scala mobile”, “inflazione”, “Botteghe Oscure”. Come mi immaginavo fossero fatte le botteghe oscure e quanto morissi dalla voglia di poter andare ad esplorarle ve lo racconto un’altra volta, potrei scriverci un romanzo orror, anche perché da lì venivano fuori sempre le occhiaie di Occhetto, e dare in mano questi elementi a una bimba che passava tutta la sua vita a inventarsi storie può essere molto pericoloso! Parole e volti dicevo. I volti erano quello adorabile di Maurizietto mio innanzitutto, e poi Andreotti e la sua forma quantomeno stramba, Cossiga e il suo sorrisetto poco raccomandabile, Craxi che mi metteva paura solo a vederlo, De Michelis e i suoi capelli unti, Segni che ogni giorno litigava con qualcuno, il già citato Occhetto e le sue ineffabili occhiaie, il direttore Sandro Curzi con la sua voce roca e le sue nuvole di fumo, che lo facevano apparire ai miei occhi come un nonno molto simpatico. Poca bellezza, per i miei gusti, niente grazia e troppi uomini. Ma ogni giorno arrivava anche il momento del presidente della camera. Nilde Iotti, i capelli grigi raccolti, divisi da una riga al centro della testa, gli occhi mobili e intelligenti, per me vistosamente brillanti e simpatici, vestito, orecchini e collana perfettamente abbinati, la voce pacata che sottolineava ogni parola che si intuiva scelta e ponderata. La trovavo bella come una bimba può trovare bella una signora di una certa età, mi suggeriva un’idea di femminilità sobria e rigorosa, vicina a quella delle donne con pochi fronzoli e moine che, da bimba timida e riservata, ispiravano la mia simpatia. E poi, io, istintivamente femminista, la trovavo meravigliosa a troneggiare su quella sedia rossa in mezzo a tanti uomini importanti si, ma molto meno interessanti. Questo è il ricordo, e magari è falsato dagli anni passati e dalle mie visioni fantasiose, ma oggi, ricercando foto e spunti per scrivere questo ritratto l’impressione che ricevo è immutata. A questa si aggiunge ora l’ammirazione per una carriera straordinaria, per la fermezza in numerose battaglie politiche e di civiltà del nostro Paese, per il coraggio e la dignità dimostrati durante tutta la sua vita, dalla giovinezza da insegnante impegnata in prima linea nella lotta partigiana, alle dimissioni, il 18 novembre del 1999, da tutti gli incarichi pubblici, a causa della malattia che la portò in poco tempo alla morte. Nel tempo trascorso tra il 1946, quando fu candidata dal Partito Comunista ed eletta al parlamento, alle prime elezioni in cui le donne in Italia ebbero pieni diritti da cittadine, al 4 dicembre del 1999 quando morì, Nilde Iotti fece la storia d’Italia, non a voce alta come fanno gli uomini, ma con la costanza, l’impegno e la pazienza, che furono nelle sue scelte politiche e in quelle sua vita. Non voglio compilare qui un curriculum vitae, né scrivere una biografia breve, ma pensare a una giovane donna non ancora trentenne nell’assemblea costituente o alla prima donna a ricoprire la carica di Presidente della Camera, fa capire senz’altri commenti la caratura del personaggio. Non vorrei parlare della vita privata ma devo, non fosse altro perché questa Italia a volte pessimamente maschilista, ancora oggi continua a discutere con sospetto e a volte con volgarità della relazione che segnò la sua vita, l’amore che la legò a Palmiro Togliatti “finchè morte non vi separi”. Lei stessa diceva che dovette avere le spalle molto larghe per superare i sospetti che fuori, e soprattutto dentro il suo partito gettavano ombre sulla sua vita privata, che fu invece retta e limpida, vissuta coraggiosamente alla luce del sole, con una modernità che ancora oggi si stenta a trovare tra i nostri moraleggianti concittadini. Lei stessa diceva che il suo amore per Togliatti frenò e non incentivò certamente la sua carriera politica, e io non stento a crederlo, ma è facile che ci si capisca tra donne rosse. Invece sarebbe importante che tra donne, di ogni colore, ci si intendesse e si continuasse seriamente e incessantemente a fare lotte di civiltà e di diritti come quelle che per tutta la sua lunga carriera Nilde Iotti volle portare avanti con le altre donne: per la parità dei salari tra uomini e donne, per la pensione alle casalinghe, per il divorzio, per avere in Italia una legge sull’aborto. Non è questo il luogo per fare analisi politiche, ma noi donne italiane dobbiamo ringraziare la presenza di Nilde all’assemblea costituente, perché se abbiamo una costituzione giusta lo dobbiamo anche a lei, che durante i lavori si adoperò per il pieno riconoscimento dei diritti femminili: “Uno dei coniugi, la donna, era ed è tuttora legata a condizioni arretrate, che la pongono in stato di inferiorità e fanno sì che la vita familiare sia per essa un peso e non fonte di gioia e aiuto per lo sviluppo della propria persona. Dal momento che alla donna è stata riconosciuta, in campo politico, piena eguaglianza, col diritto di voto attivo e passivo, ne consegue che la donna stessa dovrà essere emancipata dalle condizioni di arretratezza e di inferiorità in tutti i campi della vita sociale e restituita ad una posizione giuridica tale da non menomare la sua personalità e la sua dignità di cittadina" disse nella sua relazione, che verteva sulla parità di diritti sul lavoro e sull’importanza della funzione sociale della maternità.
Il tg visto con gli occhi di un bambina di sei o sette anni è quel che è, a volte noioso, fatto più che di notizie, che non si capiscono appieno, di volti, di persone, di impressioni, di parole che evocavano pensieri e storie che la fantasia rende perfetti e reali. Per me il tg era ritualità di termini e processione di uomini. La parola chiave era “crisi di governo”, seguita da “crisi petrolifera”, “crisi della metalmeccanica”, “scala mobile”, “inflazione”, “Botteghe Oscure”. Come mi immaginavo fossero fatte le botteghe oscure e quanto morissi dalla voglia di poter andare ad esplorarle ve lo racconto un’altra volta, potrei scriverci un romanzo orror, anche perché da lì venivano fuori sempre le occhiaie di Occhetto, e dare in mano questi elementi a una bimba che passava tutta la sua vita a inventarsi storie può essere molto pericoloso! Parole e volti dicevo. I volti erano quello adorabile di Maurizietto mio innanzitutto, e poi Andreotti e la sua forma quantomeno stramba, Cossiga e il suo sorrisetto poco raccomandabile, Craxi che mi metteva paura solo a vederlo, De Michelis e i suoi capelli unti, Segni che ogni giorno litigava con qualcuno, il già citato Occhetto e le sue ineffabili occhiaie, il direttore Sandro Curzi con la sua voce roca e le sue nuvole di fumo, che lo facevano apparire ai miei occhi come un nonno molto simpatico. Poca bellezza, per i miei gusti, niente grazia e troppi uomini. Ma ogni giorno arrivava anche il momento del presidente della camera. Nilde Iotti, i capelli grigi raccolti, divisi da una riga al centro della testa, gli occhi mobili e intelligenti, per me vistosamente brillanti e simpatici, vestito, orecchini e collana perfettamente abbinati, la voce pacata che sottolineava ogni parola che si intuiva scelta e ponderata. La trovavo bella come una bimba può trovare bella una signora di una certa età, mi suggeriva un’idea di femminilità sobria e rigorosa, vicina a quella delle donne con pochi fronzoli e moine che, da bimba timida e riservata, ispiravano la mia simpatia. E poi, io, istintivamente femminista, la trovavo meravigliosa a troneggiare su quella sedia rossa in mezzo a tanti uomini importanti si, ma molto meno interessanti. Questo è il ricordo, e magari è falsato dagli anni passati e dalle mie visioni fantasiose, ma oggi, ricercando foto e spunti per scrivere questo ritratto l’impressione che ricevo è immutata. A questa si aggiunge ora l’ammirazione per una carriera straordinaria, per la fermezza in numerose battaglie politiche e di civiltà del nostro Paese, per il coraggio e la dignità dimostrati durante tutta la sua vita, dalla giovinezza da insegnante impegnata in prima linea nella lotta partigiana, alle dimissioni, il 18 novembre del 1999, da tutti gli incarichi pubblici, a causa della malattia che la portò in poco tempo alla morte. Nel tempo trascorso tra il 1946, quando fu candidata dal Partito Comunista ed eletta al parlamento, alle prime elezioni in cui le donne in Italia ebbero pieni diritti da cittadine, al 4 dicembre del 1999 quando morì, Nilde Iotti fece la storia d’Italia, non a voce alta come fanno gli uomini, ma con la costanza, l’impegno e la pazienza, che furono nelle sue scelte politiche e in quelle sua vita. Non voglio compilare qui un curriculum vitae, né scrivere una biografia breve, ma pensare a una giovane donna non ancora trentenne nell’assemblea costituente o alla prima donna a ricoprire la carica di Presidente della Camera, fa capire senz’altri commenti la caratura del personaggio. Non vorrei parlare della vita privata ma devo, non fosse altro perché questa Italia a volte pessimamente maschilista, ancora oggi continua a discutere con sospetto e a volte con volgarità della relazione che segnò la sua vita, l’amore che la legò a Palmiro Togliatti “finchè morte non vi separi”. Lei stessa diceva che dovette avere le spalle molto larghe per superare i sospetti che fuori, e soprattutto dentro il suo partito gettavano ombre sulla sua vita privata, che fu invece retta e limpida, vissuta coraggiosamente alla luce del sole, con una modernità che ancora oggi si stenta a trovare tra i nostri moraleggianti concittadini. Lei stessa diceva che il suo amore per Togliatti frenò e non incentivò certamente la sua carriera politica, e io non stento a crederlo, ma è facile che ci si capisca tra donne rosse. Invece sarebbe importante che tra donne, di ogni colore, ci si intendesse e si continuasse seriamente e incessantemente a fare lotte di civiltà e di diritti come quelle che per tutta la sua lunga carriera Nilde Iotti volle portare avanti con le altre donne: per la parità dei salari tra uomini e donne, per la pensione alle casalinghe, per il divorzio, per avere in Italia una legge sull’aborto. Non è questo il luogo per fare analisi politiche, ma noi donne italiane dobbiamo ringraziare la presenza di Nilde all’assemblea costituente, perché se abbiamo una costituzione giusta lo dobbiamo anche a lei, che durante i lavori si adoperò per il pieno riconoscimento dei diritti femminili: “Uno dei coniugi, la donna, era ed è tuttora legata a condizioni arretrate, che la pongono in stato di inferiorità e fanno sì che la vita familiare sia per essa un peso e non fonte di gioia e aiuto per lo sviluppo della propria persona. Dal momento che alla donna è stata riconosciuta, in campo politico, piena eguaglianza, col diritto di voto attivo e passivo, ne consegue che la donna stessa dovrà essere emancipata dalle condizioni di arretratezza e di inferiorità in tutti i campi della vita sociale e restituita ad una posizione giuridica tale da non menomare la sua personalità e la sua dignità di cittadina" disse nella sua relazione, che verteva sulla parità di diritti sul lavoro e sull’importanza della funzione sociale della maternità.
Io spero che la lezione di classe e coscienza politica della
signora Iotti dia i suoi frutti, spero che il problema di oggi sia che i semi da lei
seminati siano soltanto un po’ tardi a germogliare. Se riuscissimo ad avere
sedute al parlamento delle donne rigorose, solidali, pacate, sicure e ferme
nelle proprie scelte politiche, limpide e oneste rispetto alla propria vita
privata, capaci di ascoltare e mediare, autorevoli, intelligenti, brillanti e
affascinanti, forse qualcosa nel nostro Paese potrebbe migliorare. Se la
politica insegnasse che “è necessario cogliere negli altri solo quello che di
positivo sanno darci e non combattere ciò che è diverso, che è "altro"
da noi”, magari riuscirebbe a togliersi
dalla coscienza il carico di intolleranza e razzismo che il nostro paese
continua a portare sulle sue spalle.
Forse io ero una bimba strana a innamorarmi di Mannoni e a
guardare affascinata la “signora della Repubblica”, e oggi sono una donna ancor
più strana nei miei desideri, ma vorrei, se mai avessi una figlia, guardando insieme il
telegiornale, poter leggere nel suo sguardo ammirazione per una donna, seduta
non solo sullo scranno da Presidente della Camera, ma magari da Primo Ministro,
o da capo dello Stato. E vorrei che mia figlia potesse pensare non “voglio
essere la prima” come ho fatto io e abbiamo fatto tutte almeno per una volta,
ma “voglio essere come lei”.
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